L'espressione maternità surrogata, conosciuta anche come utero in affitto o maternità per sostituzione, è quella pratica con la quale una donna si presta a portare a compimento una gravidanza e conseguentemente la nascita di un figlio per un'altra donna committente, o più comunemente per una coppia, che non può procreare un figlio proprio.
La madre gestante, volontariamente, non allaccerrà alcun rapporto affettivo con il nuovo nato che a pochi giorni dalla nascita sarà rimesso alle esclusive cure dei genitori committenti.
La prima riflessione che va mossa è la dissociazione, tanto criticata, tra genitorialità biologica e sociale che una tale pratica pone in essere.
La prova della maternità è dunque il parto.
Cosa accade però, quando nella vita reale e grazie ad un ars medica in continua evoluzione, il desiderio di avere un figlio geneticamente proprio prende forma attraverso il "contratto di maternità surrogata"?
Repentinamente, le certezze giuridiche si affievoliscono e la staticità dei dati codicistici deve confrontarsi con le nuove fattispecie collegate alla surrogazione.
Chi scrive è dell'opinione che non è sufficiente l'atteggiamento di chi vorrebbe rispondere a tutti gli interrogativi attraverso il combinato disposto degli artt. 29, 30 Cost. e 269 c.c.